FRANCESCO MANCINI
Il Decreto Rilancio elimina il saldo e l’acconto dell’IRAP, dovuto a giugno, per imprese e lavoratori autonomi con volume, rispettivamente, di ricavi e compensi, non superiore a 250 milioni. Misura attesa e preziosa, perché coerente con l’eccezionale crisi di liquidità provocata dall’emergenza sanitaria e rivolta sia alle imprese che ai professionisti, così allontanando le ombre di una ingiustificabile disparità di trattamento a danno di questi ultimi, ventilata secondo le prime indiscrezioni di stampa. Professionisti ed imprenditori vanno a braccetto, ai fini della soggettività passiva IRAP, da quando dovette scendere in campo la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 56/2001, per stabilire che è vero che “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorchè svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui”. La Consulta aggiunse, però, che, al cospetto di una effettiva autonomia di organizzazione, ’assoggettamento al tributo del reddito professionale poteva superare l’esame di costituzionalità. La Corte di Cassazione ha poi demandato al giudice di merito l’accertamento delle circostanze di fatto di svolgimento della professione, identificando, quali elementi rivelatori dell’assenza di autonoma organizzazione, l’inserimento in strutture organizzative riferibili ad altri, l’utilizzo di beni strumentali “minimi”, l’avvalersi di un solo lavoratore dipendente, con mansioni di segreteria o meramente esecutive. E dunque, interpretando la comunione di sofferenze, difficoltà ed incognite delle aziende e degli studi professionali dinanzi a questa lunga traversata del deserto post- Covid 19, il Governo ha messo in lockdown il pagamento IRAP di giugno, sia in relazione al saldo per il 2019 che alla prima rata, pari al 40%, dell’acconto per il 2020. Il versamento non è dovuto, ovvero non fa parte di quelli semplicemente differiti dai vari DPCM, e, dunque, i lavoratori autonomi non subiranno un prelievo particolarmente odioso in questo periodo di “distanziamento sociale” dagli incassi. Il varo del Decreto Rilancio poteva essere l’occasione, a ben vedere, per mostrare il coraggio, come suggerito dal CNF e dalla Cassa Forense, di abolire una volta per tutte una delle imposte più osteggiate, in quanto anti-espansiva. Un’imposta ancor più irriducibile alla drammatica situazione indotta dal contagio: gli studi sono stati chiusi oppure hanno operato in smart working, ed in prevalenza dovranno continuare a farlo, visto che il continuo rinvio delle udienze e la consacrazione dei processi telematici diradano la frequentazione e la (pretesa) complessità organizzativa delle strutture. Il reddito medio dell’avvocatura, nel 2019, si è attestato su 39.473 euro, mentre nel 2007 era pari a 51.314 euro. Almeno per ora, l’appello all’abbandono integrale dell’imposta è caduto nel vuoto. Il taglio definitivo dell’Irap restituirebbe il senso di una “visione” di lungo periodo: un segnale forte di discontinuità, la valorizzazione della politica fiscale come strategia e leva per la ripresa. Spazzerebbe via i tanti nodi interpretativi che ancora affannano i contribuenti, dopo che le SS.UU. della Cassazione, con la sentenza n. 7371/2016, hanno stabilito che l’esercizio della professione sotto forma di studi associati, associazioni professionali e società semplici, costituisce, ex se, presupposto di soggezione all’IRAP, indipendentemente dalla struttura organizzativa impiegata. Questo irrigidimento della giurisprudenza di legittimità ha portato molti legali ad abbandonare le formule associative, così di fatto tradendosi il disegno di incentivare le aggregazioni e le reti professionali. La cancellazione avrebbe anche un altro risvolto: molti titolari di studi singoli (nell’ipotesi, non soggetti ad Irap per mancanza delle stimmate organizzative) hanno timore di avvalersi di collaborazioni di colleghi o, come detto, di costituire studi associati, per non entrare a piedi uniti nella soggettività passiva del tributo. Salutando i giorni dell’IRAP ed inaugurando quelli del rilancio, il Governo potrebbe favorire l’accoglienza dei colleghi più giovani e di quelli economicamente più fragili.
Articolo tratto da “Il Dubbio” del 16 maggio 2020