Il Tribunale del Lavoro di Grosseto, con la sentenza del 24 luglio 2024, ha accolto la domanda proposta dalla ricorrente, assistita e difesa dagli avvocati Giorgio Barletta ed Antonino Mancini, del Foro di Campobasso, avendo ritenuto discriminatorio il diniego – opposto da un Comune toscano ad una candidata vincitrice di concorso pubblico – ad usufruire del congedo parentale previsto dal D.Lgs. n. 151/2001.
La pronuncia segna un importante tassello nel percorso di affermazione dei principi di parità di genere, avendo censurato la condotta di un’Amministrazione locale che aveva anteposto gli interessi di breve periodo dell’Ente ai diritti inviolabili e di rango costituzionale.
I legali della donna, originaria di Campobasso, hanno adito il Giudice del lavoro al fine di fare accertare il carattere discriminatorio della condotta dell’Ente, consistita nella mancata assunzione della ricorrente a causa del suo stato di maternità ed in ragione della titolarità e dell’esercizio dei diritti connessi alla recente nascita del figlio.
La controversia, del tutto peculiare nella sua dinamica, coinvolgente anche risvolti penali, ha origine dalla decisione intrapresa da parte dell’Ente locale di non procedere all’assunzione di una donna – vincitrice di pubblico concorso ed appositamente convocata presso gli uffici comunali per la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro – che aveva espresso al Dirigente comunale la volontà di usufruire, per motivi personali legati alla cura del neonato, di un periodo di astensione facoltativa dal lavoro.
Per tale ragione, i procuratori della candidata hanno ravvisato un’ipotesi di discriminazione ed hanno agito per ottenere la dichiarazione della natura discriminatoria del mancato riconoscimento del congedo parentale, con conseguente condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, ai sensi dell’art. 38, co. 1, del d.lgs. n. 198/2006.
In particolare, i legali Barletta e Mancini hanno ritenuto configurata, nel caso di specie, la previsione di cui all’art. 25 del d.lgs. n. 198/2006 (cd. Codice delle Pari Opportunità) che, in attuazione della Direttiva comunitaria 2006/54 CE, accoglie una nozione ampia di discriminazione, comprensiva di “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento” che produca comunque un effetto pregiudizievole, non solo rispetto a un lavoratore già impiegato, ma persino nella fase di selezione del personale, “discriminando le candidate e i candidati” in ragione del loro sesso.
Il Tribunale di Grosseto, aderendo alle argomentazioni difensive, ha ritenuto che il mutato comportamento dell’Ente fosse stato determinato unicamente dalla prospettiva che la ricorrente si sarebbe avvalsa del congedo parentale, il che – secondo il giudice estensore – ha costituito motivo certamente discriminatorio, in quanto, se la ricorrente non avesse manifestato l’intenzione di avvalersi dei diritti connessi alla propria condizione di donna con prole in tenera età, sarebbe stata certamente assunta.
Il motivo della mancata assunzione in ragione dello status della donna e delle connesse rivendicazioni ha costituito, per il Giudice toscano, una discriminazione diretta in ragione del sesso della lavoratrice che, di fatto, aveva ricevuto un trattamento deteriore rispetto a quello garantito a un candidato uomo o a una candidata donna non madre di un bambino in tenera età.
Nell’accogliere la richiesta della lavoratrice, il Tribunale ha ritenuto applicabile l’art. 25 del d.lgs. n. 198/2006, ed ha annoverato il comportamento del Comune nella nozione di discriminazione diretta, con conseguente riconoscimento alla ricorrente del danno patrimoniale, tenuto conto dell’importo che le sarebbe spettato in relazione all’intera durata del contratto e della prospettiva certa che si sarebbe avvalsa del congedo parentale con riduzione della retribuzione, detratto l’aliunde perceptum.
Alla donna è stato riconosciuto anche il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione dei diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, e che trova il suo fondamento, per dette fattispecie discriminatorie, negli artt. 37 e 38 del D.lgs. n. 198/2006.
Il Giudicante ha inteso rifarsi al diritto dell’Unione e, dopo un lungo ed interessante richiamo alla normativa comunitaria oltre che alla giurisprudenza formatasi in materia, è pervenuto alla liquidazione complessiva del danno non patrimoniale in considerazione della compromissione delle aspettative di una giovane laureata alla prima esperienza lavorativa, del suo stato di madre di prole in tenera età, delle condizioni familiari e personali prospettate, della prevedibile intensità del disagio e della sofferenza che le condotte hanno ragionevolmente generato, secondo un criterio di normalità psicologica, oltre che della diffusione della notizia.
Tale decisione si muove nel solco del recepimento della cosiddetta Direttiva Congedi, che applica a tali istituti il divieto di discriminazione per orientamento sessuale imposto dal diritto dell’Unione Europea.
Grande soddisfazione per i legali della donna, che sono riusciti a fare affermare il principio per cui, al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità, nonchè il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio.
La sentenza rappresenta un’ulteriore ascesa nel percorso giurisprudenziale di tutela dei diritti di genere.
fonte: https://www.quotidianomolise.com/articolo/discriminazione-in-ragione-del-sesso-accolto-ricorso-di-una-lavoratrice-di-campobasso
articolo del 25 luglio 2024