Come (purtroppo) spesso capita per gli strumenti di politica fiscale, un istituto – il contraddittorio preventivo all’emissione dell’accertamento, nel new look dal 1° luglio – potenzialmente carico di prospettive interessanti per la fluidità del rapporto Fisco- Contribuenti, rischia di avere un grande avvenire dietro le spalle.
Il decreto c.d. Crescita – il n. 34/2019 – ha introdotto un obbligo, quasi generalizzato, di contraddittorio preventivo, stabilendo che, in ipotesi di mancato accordo, l’Agenzia debba fornire una “motivazione rafforzata”.
Fin qui, il diritto al contraddittorio è stato riservato ai casi in cui l’accertamento facesse seguito ad una verifica operata presso la sede del contribuente e ad alcune tipologie di accertamento (comportamenti abusivi, accertamenti sintetici da studi di settore, redditometro, etc.).
Ora, il confronto preventivo di nuovo conio viene esteso ai provvedimenti emessi dal 1° luglio 2020, per i controlli “a tavolino”, esclusi gli accertamenti parziali, le rettifiche IVA basate su “elementi certi e diretti”, le imposte indirette diverse dall’IVA (donazioni e successioni, registro, ipotecarie e catastali).
E qui cominciano (proseguono?) i problemi: l’accertamento parziale, di cui all’art. 41- bis del D.P.R. 600/73, sorto per consentire agli uffici di emettere il provvedimento senza pregiudizio per ulteriori accertamenti, quando abbiano elementi probatori immediatamente utilizzabili (sia di fonte interna che esterna all’amministrazione, Cass. 23 dicembre 2014, n. 27323), è divenuto, nella prassi, “un elastico” a favore di Erario, impiegabile, praticamente, nella totalità dei casi, con buona pace dei principi di certezza del diritto e di affidamento del contribuente.
Ricca di insidie è poi l’esclusione, per le rettifiche IVA, di quelle fondate su elementi “certi e diretti”, aggettivazioni quanto mai scivolose, sulle quali la Circolare 17/E/20 fornisce tiepide spiegazioni (“che non presuppongono ricostruzioni induttive o utilizzo delle presunzioni”) e che peggiorano il quadro per i contribuenti, che, fino al 1° luglio, sull’abbrivio della giurisprudenza comunitaria e di legittimità, potevano vantare il diritto al contraddittorio per tutti i tributi comunitari, senza riserve.
Anche sulle ragioni di urgenza che giustificano la deroga al contraddittorio preventivo, c’è poco da stare sereni, malgrado le raccomandazioni rivolte agli uffici dalla suddetta Circolare, affinché siano specificatamente motivate.
Con Ordinanza n. 5254/20, depositata il 26 febbraio 2020, la Sesta Sezione Civile- T – della Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e confermato la sentenza della CTR del Molise, n. 89/1/2018, giudicando assimilabile all’accesso presso la sede del contribuente quello eseguito presso il depositario delle scritture contabili, in quanto mandatario del contribuente (in tale direzione, Cass., Sez. 5, sentenza n. 702/2019; Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14707/2018).
Nell’occasione, la Suprema Corte ha anche ribadito che il confronto endoprocedimentale- quando obbligatorio – non può essere evitato, ex art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente, se non per specifiche ragioni di urgenza, le quali non possono consistere nell’imminenza della scadenza del termine di accertamento (inter alia, Cass., Sez. 5, sentenza n. 5149 del 16.3.2016).
Di queste statuizioni, la giurisprudenza di merito ha sovente fatto scempio, identificando motivi di urgenza anche quando improbabili o finanche non indicati dagli uffici.
Vi è di più: la nuova normativa prevede che, in mancanza di attivazione del contraddittorio ante tempus, l’accertamento potrà essere dichiarato nullo soltanto se, dinanzi al giudice tributario, il contribuente riuscirà a superare la “prova di resistenza”, ossia a dimostrare le ragioni che avrebbe potuto fare valere in sede di confronto preventivo.
Come dire che giudizio di merito e vaglio del rispetto della procedura si confondono, nel senso che basterà che le commissioni respingano le argomentazioni di merito, per legittimare l’elusione del contraddittorio anticipato.
Non finisce qui: la Circolare n. 17/E, del 22 giugno 2020, ricorda che, in forza dell’art. 4-octies, lettere a) e c) del DL 30 aprile 2019, n. 34, qualora tra la data di comparizione, indicata nell’invito notificato al contribuente, e quella di decadenza dell’attività di controllo di cui agli artt. 43 D.P.R.600/73 e 57 D.P.R. 633/72, intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza viene automaticamente prorogato di centoventi giorni.
E’ forte e diffuso il timore che gli Uffici, in prossimità dei termini di decadenza, spargano inviti al contraddittorio solo per beneficiare della moratoria e che, anzi, si avvalgano delle memorie eventualmente prodotte dai contribuenti per aggiustare il tiro delle motivazioni dell’accertamento.
Insomma, ancora una volta, un istituto meritevolmente pensato per facilitare il dialogo tra il Fisco ed il contribuente è suscettivo di rivelarsi un’occasione sciupata.
Avv. Francesco Mancini del Foro di Campobasso
Articolo tratto da “CFnews.it” del 08/07/2020
https://www.cfnews.it/diritto/contraddittorio-preventivo-decadenza-posticipata/