Il Tribunale di Larino, sez. lav., con la sentenza depositata in data 18 gennaio 2022, ha accolto il ricorso presentato dallo Studio Mancini in difesa di un dipendente che era stato licenziato per giusta causa poiché durante il periodo di assenza per malattia aveva svolto attività extralavorative che, a dire del datore di lavoro, pregiudicavano la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.
Il Giudice di primo grado, all’esito dell’istruttoria, ha ritenuto che, in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata – la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena – senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro, dovendosi escludere che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all’attività lavorativa, laddove è a carico del datore di lavoro la dimostrazione che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro.
Alla luce delle predette considerazioni, il Giudice ha annullato il licenziamento perché privo di giusta causa per insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore ai sensi dell’art. 3 co. 2 d. lgs n. 23/2015 e, di conseguenza, ha condannato il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura fissata in dodici mensilità.
Importante affermazione per lo Studio Mancini che è riuscito a dimostrare come i comportamenti assunti dal lavoratore non potessero considerarsi incompatibili rispetto alla guarigione e che dunque il fatto contestato, sebbene materialmente accaduto, non aveva alcun rilievo disciplinare.
I legali, sono così riusciti a fare riconoscere al dipendente la tutela reintegratoria di cui all’art. 3, co. 2, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23.