Al termine del periodo emergenziale molte imprese dovranno fare i conti con la riorganizzazione dell’assetto aziendale ed è pronosticabile che diversi datori di lavoro continueranno ad utilizzare uno strumento oggi fortemente sperimentato, che prende il nome di smart working. Si stima che oltre 7 milioni di lavoratori dipendenti saranno interessati dalle nuove modalità di organizzazione del lavoro, quantomeno per alcuni giorni alla settimana.
E se per le aziende e la parte datoriale, lo smart working rappresenta un viatico strategico per la ripresa economica, per i lavoratori può diventare un diritto. Infatti per compensare i disagi delle famiglie, conseguenti all’inasprimento delle restrizioni, l’intervento normativo n. 30/2021 ha colmato un vuoto che si era venuto a creare a seguito della scadenza del 31 dicembre 2020.
Scatta il diritto al lavoro agile per il genitore la cui mansione sia compatibile se in famiglia è presente un figlio minore di anni 16 che si trovi a casa per la sospensione dell’attività didattica, oppure perchè abbia il Coronavirus o sia stato messo in quarantena. Se la prestazione non può essere resa in smart working, uno dei due genitori con il figlio minore di 14 anni ha invece diritto ad assentarsi con il congedo covid retribuito al 50%; se l’età del figlio è compresa tra 14 e 16 anni, per l’assenza non spetta alcuna retribuzione.
Il diritto può essere esercitato, alternativamente all’altro genitore, per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione, della quarantena o dell’infezione.
L’esercizio di questi diritti ha già generato i primi contenziosi da lavoratori ai quali era stato negata la possibilità di lavorare in modalità agile. La questione più dibattuta in questi contenziosi è stata la compatibilità dello smart working con le mansioni assegnate al lavoratore, alla quale tutte le norme di favore condizionano l’esercizio del diritto.
INTERVISTA SECONDA PARTE