Il tormentato percorso del regime civilistico e fiscale delle società tra professionisti si arricchisce di una nuova “deviazione”: con la sentenza n. 7447/2021, depositata il 17 marzo 2021, la Corte di Cassazione ha giudicato applicabile la ritenuta d’acconto sui compensi corrisposti ad uno studio legale costituito sotto forma di STP a responsabilità limitata, valorizzando, pertanto, l’oggetto dell’attività svolta piuttosto che la veste soggettiva.
In parole povere, anche le STP, come gli studi associati, rientrerebbero nell’alveo del lavoro autonomo e nel regime dell’art. 2238 del codice civile.
La pronuncia è destinata a fare rumore, in quanto, dopo un lungo avvitamento di orientamenti contrastanti, inaugurati sin dalla loro costituzione, ai sensi dell’art. 10, comma 3, della legge n. 183 del 2011, sembrava essersi consolidata la collocazione nel reddito d’impresa.
In un primo momento, prevalse la rilevanza della prestazione professionale dei soci, rispetto all’incidenza del capitale.
Confortava tale indirizzo anche la Ris. AE n. 118/E, del 28.5.2013, che, riferendosi alle STA di cui al D.lgs. n.96/2001, ed enfatizzando l’esigenza di coerenza del sistema impositivo, riteneva si dovesse riguardare il reale contenuto professionale dell’attività resa, con conseguente allocazione del reddito nella categoria del lavoro autonomo (conforme, Circolare 34/IR del 19.9.2013)
Successivamente, dottrina, giurisprudenza e prassi amministrativa hanno virato verso l’orientamento opposto, al punto tale che l’art. 11 dello schema di decreto legislativo del luglio 2014, che tratteneva, in capo alle STP, lo stesso trattamento fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni (i cosiddetti studi associati), id est la classificazione dei relativi redditi nel novero del lavoro autonomo, è stato eliminato, avendo la Commissione Finanze della Camera dei Deputati rilevato che il “doppio binario” – civilistico e tributario- sarebbe risultato difficilmente gestibile.
Il legislatore si è quindi diretto verso la qualificazione del reddito prodotto dalle STP come d’impresa, con il corollario della soggezione al criterio della competenza, della sottoposizione ad IRAP, della inapplicabilità della ritenuta d’acconto sulle fatture emesse.
Ha fatto da sponda a questo nuovo assetto la Ris. AE n. 35/E, del 7 maggio 2018, che ha chiosato che, sul piano civilistico, le società della specie non costituiscono un genere autonomo, bensì si iscrivono tra le società tipiche regolate dal codice civile, ricadendo, pertanto, nella disciplina legale del modello societario adottato, ivi inclusa quella fiscale, che attrae nella categoria del reddito d’impresa ogni attività esercitata sotto l’egida societaria.
Val quanto dire che l’elemento soggettivo della prestazione professionale cede al profilo oggettivo, per cui soccorrono le disposizioni di cui agli artt. 6 e 81 del TUIR, in forza delle quali si considerano produttive di reddito d’impresa, da qualunque fonte provengano, i redditi delle società e degli enti commerciali.
Ora, la sentenza della Suprema Corte del 17 marzo sembra rimettere in gioco le certezze stentatamente acquisite, ponendo, in seno alle STP, un distinguo complesso (e sensibile alle controversie), tra esercizio della professione, per così dire, “puro”, ed esercizio di un’attività organizzata, connotata dalla preminenza del coordinamento del lavoro altrui e del capitale sul lavoro intellettuale.
Un crinale interpretativo che ricalca, per grandi linee, il sofferto discrimine ai fini IRAP, il cui spartiacque è stato faticosamente individuato (con conflitti ermeneutici mai sopiti) tra esercizio in forma organizzata
(presenza di personale, non di mera segreteria; reti di collaborazioni, attrezzature, arredi di particolare rilievo) e svolgimento in via più “frugale”: una distinzione costantemente in bilico, fino a quando, per gli studi associati, la Corte di Cassazione ne ha consacrato l’assoggettamento ad Irap “per definizione”, essendo la formula, ex se, lo specchio e la cifra di una struttura organizzativa.
Ma allora, se è vero questo, se, cioè, lo studio associato è manifestazione intrinseca della dimensione organizzativa, che fa scattare il presupposto dell’IRAP senza bisogno di ulteriori accertamenti sulle concrete modalità di espletamento della professione, appare invero problematico, in aderenza al decisum della Corte di Cassazione, ipotizzare che una STP a responsabilità limitata abbia margini per dimostrare che non detenga un’organizzazione d’impresa e possa rivendicare l’applicabilità della ritenuta d’acconto sui compensi ricevuti, come se si tratti di redditi di lavoro autonomo.
La pronuncia della Corte di legittimità rischia di apporre un’ipoteca anche sul reddito delle società tra avvocati di nuovo conio, ossia di quelle costituende ai sensi dell’art. 4 bis, commi 6 bis e 6 ter, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dall’art. 1, comma 443, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il cui Regolamento di attuazione è stato recentemente approvato dal Comitato dei Delegati di Cassa Forense.
Il loro reddito appartiene indubbiamente all’ambito del reddito d’impresa, come avallato dalla Circolare AE n. 35/E del 2018, in cui si chiarisce che la nuova società tra avvocati si discosta da quella regolata dal D.lgs. 96/2001 che, come visto, dava risalto al contenuto professionale dell’attività svolta.
Salvo che la pronuncia dei Supremi Giudici non apra nuovi fronti di discussione.
Avv. Francesco Mancini del Foro di Campobasso
Articolo di Cf News.it https://www.cfnews.it/previdenza/il-sentiero-stretto-dei-redditi-delle-stp/
fonte: CF News 24/03/2021