La legge di Bilancio 2019 rianima il dibattito sul bilanciamento di contrapposti interessi costituzionalmente garantiti, quello dell’equilibrio tra le entrate e le spese dello Stato (art. 81 Cost.) e quello dell’equilibrio fra entrate per contributi e prestazioni rese, che trova il suo fondamento negli artt. 38 e 97 della Carta, a tutela degli iscritti.
L’art. 1, comma 184 e ss. della Legge di Bilancio, che consente, ai professionisti in difficoltà economiche, il saldo e stralcio delle cartelle emesse fino al 31 dicembre 2017, anche per debiti verso le Casse, propone i medesimi interrogativi che, per fattispecie analoghe, hanno convocato l’autorevole scrutinio della Corte Costituzionale, della Corte di legittimità e dei Giudici Amministrativi.
Chiamata a pronunciarsi, su impulso della Cassa dei Dottori Commercialisti e giudizio di rimessione del Consiglio di Stato,sulla legittimità del prelievo per concorso alla spending review, la Consulta, con la sentenza n. 7/2017, ha considerato fondate le censure sollevate sulla legge n. 135/2012, in relazione al canone di ragionevolezza (che si colloca nell’art. 3 della Costituzione), al già citato art. 38 (diretto a soddisfare il diritto di alcuni lavoratori alla garanzia di “mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia”) nonché all’art. 97, che tutela i principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione.
Ponderando gli interessi coinvolti dalla legge indubbiata, la Corte Costituzionale ha accolto le eccezioni avanzate avverso una disposizione che determinava “un’alterazione del vincolo funzionale tra contribuzione degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali”,disattendendo così la tesi dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui l’interesse dell’Ente previdenziale sarebbe recessivo rispetto all’art. 81 della Costituzione.
Ora, il punctum pruriens è ancora lo stesso: enti privati come le Casse, che non ricevono alcun finanziamento pubblico, possono essere chiamati in causa per incrementare entrate statali, anche a costo di mettere a rischio i propri equilibri finanziari?
La giurisprudenza costituzionale, in varie occasioni, ha giudicato ammissibili prelievi eccezionali, anche a carico di enti privati, sempre che sia rispettato il canone della ragionevolezza e il sacrificio richiesto sia coerente e commisurato all’entità del concreto beneficio conseguibile dallo Stato.
Nella persistente diaspora sulla natura giuridica delle Casse (stricto jure private, ma con connotazione pubblicistica che ridonda, tra l’altro, nella controversa iscrizione nell’elenco ISTAT e nella vigilanza dei Ministeri e nella soggezione al controllo della Corte dei Conti), il dubbio latente è che siano, secondo l’angolo di visuale, troppo poco “private” o troppo poco “pubbliche”.
Una sorta di strabismo normativo le ha classificate private, ai fini, ad esempio, tributari, mentre le ha annesse all’universo pubblico, agli effetti ISTAT o dei prelievi coattivi.
Di sicuro, le Casse sono espressione di quelle formazioni intermedie e di quel pluralismo sociale cui si chiede di declinare il principio di sussidiarietà, in ossequio alla riforma del Titolo V della Costituzione.
Il tema è fino a che punto la mission dell’autosufficienza possa essere turbata da iniziative legislative che interferiscano sulla pianificazione economico-finanziaria di queste Fondazioni private.
Nella vicenda in esame, sono in gioco due tipi di chiusura di cartelle “a saldo e stralcio”.
L’uno, contemplato dall’art. 4 del D.L. n. 119/2018, determina la cancellazione, al 31 dicembre 2018, in via automatica (e dunque non a richiesta), dei debiti, risultanti, al 24 ottobre 2018, da singoli carichi affidati agli agenti della riscossione tra il 1° gennaio 2000 eil 31 dicembre 2010, di ammontare – ciascuno – non superiore a mille euro (comprensivo di capitale, sanzioni, interessi per ritardata iscrizione): un colpo di spugna che, secondo stime attendibili, potrebbe interessare milioni di contribuenti e che impedisce, di fatto, il computo a fini pensionistici di importi non versati, rectius, non versabili per legge.
Peraltro, il riferimento alla nozione di “debito” – cancellato automaticamente al 31 dicembre 2018 – appare atecnico e, comunque, insidioso nella prospettiva dei rapporti tra iscritti ed ente. Il professionista, nella fattispecie, si vede interdetta la facoltà stessa di pagamento, della quale, in ipotesi, avrebbe voluto fruire a fini pensionistici.
L’eliminazione dal “magazzino” delle mini-cartelle comporta, in tutta evidenza, una contrazione imprevista delle entrate delle Casse e, anche se l’entità della perdita di gettito può apparire contenuta, a maggior ragione la parallela modestia del recupero di entrate per lo Stato rende nuovamente attuale l’autorevole statuizione della sentenza della Consulta n. 7/2017, che, come detto, afferma il principio dell’esigenza di contemperare i contrapposti interessi sul paradigma della necessità di non compromettere “gratuitamente” la correlazione “contributi-prestazioni” su cui si regge il sistema delle Casse private.
Analogo impatto può produrre l’altra forma di saldo e stralcio,che prevede la chiusura agevolata dei debiti contributivi, affidati all’agente della riscossione, per il periodo tra il 2000 e il 31 dicembre 2017,“con esclusione di quelli richiesti a seguito di accertamento”, nei confronti di professionisti in difficoltà economiche, fotografate dall’ISEE.
Per i contribuenti con ISEE fino a 20 mila euro, si potranno definire le cartelle con percentuali variabili tra il 16, il 20 ed il 35 per cento del dovuto, al netto di interessi e sanzioni.
Anche in questo caso, le Casse si vedono intercettate somme a esse destinate in misura piena, dovendo così modificare, in corsa, budget e piani economici, e giustificare ai propri iscritti sconti concessi ai morosi, piuttosto che una progressiva riduzione del carico contributivo in favore dell’intera platea.
L’inciso “con esclusione di quelli richiesti a seguito di accertamento” darà la stura a ulteriori disagi interpretativi e nuove considerazioni di compatibilità costituzionale, in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Insomma, rimane il problema di conciliare interesse erariale ed esigenze di autosufficienza delle Casse private, volte, queste ultime, ad assicurare anche quel meccanismo di solidarietà endocategoriale che ispira, giustamente, sistema e filosofia delle Casse, a tutela dei professionisti più giovani e meno abbienti.
D’altra parte, il parametro ISEE è scivoloso, perché non è “di per sé” sintomatico d’effettive criticità economiche (tenuto conto del rischio d’infedeltà dichiarative) e la previsione di cui al comma 195, che contempla i controlli “nei soli casi in cui sorgano fondati dubbi sulla veridicità” delle auto-dichiarazioni ISEE, certamente non giova alla ricerca di certezza ed equità.
Anzi, un profilo sul quale si potrebbe intervenire è quello di rendere più efficienti e fluide le comunicazioni del Fisco sugli accertamenti tributari divenuti definitivi per mancata impugnazione o per esaurimento del contenzioso.
Resta sullo sfondo, meritevole di successivi approfondimenti, la questione dei riflessi (sia sulla misura degli assegni sia della data di pensionamento) delle somme non versate a seguito del secondo provvedimento di favore, nel senso che la scelta dell’avvocato di aderire al saldo e stralcio, oltre a creare sicuri dissidi interpretativi (con conseguente implementazione del contenzioso tra Casse ed iscritti), comporterà nella quasi totalità dei casi un negativo riflesso sul piano del futuro trattamento pensionistico.
Mentre per le mini-cartelle il tutto avviene senza (o addirittura contro) il consenso dell’interessato, che nulla può fare per “opporsi”, per il saldo e stralcio l’iscritto che si trova oggi “in difficoltà” farà bene ad informarsi ed a ponderare adeguatamente la delicata scelta da compiersi.
Avv.ti Antonio e Francesco Mancini – Foro di Campobasso